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Obama: State sereni! Tu cumprà subito F35, io vendere nel futuro gas a te!

Penulis : barbaranotav on domenica 30 marzo 2014 | 12:13 AM

domenica 30 marzo 2014

Ottimo piazzista di gas - Perchè l'Italia dovrebbe spendere in  armi come l'Impero?
T.P. "State sereni, europei. Bisogna andare giù duro con questi russi fetenti, sanzioni a più non posso! Non è esatto che ci rimettete più voi. Non è vero che rischiamo di meno noi. Noi siamo amici e l'amicizia si dimostra nelle difficoltà... Tranquilli, se Putin o'pazz taglia il gas a settembre, ci penso io, cioè gli Stati Uniti...insomma l'Impero. Il gas ve lo vendiamo noi. Quando?
Beh..appena avremo sventrato un bel pò del nostro sottosuolo, dopo che avremo deviato alcuni fiumi e prosciugato qualche lago.... Grande gasdotto Usa-Europa? Non ancora, ma ci sono gli opportuni big investimenti, sì già approvati... Sereni, su dai, il vostro premier Cabarettista si fida, anzi si è entusiasmato... anche nonno George mi appoggia 100%. Non fate gli eterni pessimisti, oltretutto...ricordate che noi vi abbiamo liberato!

Io darò gas a te, tu comprare cash molti F35 a me. Che? Colabrodi  insicuri? Non esiste proprio il risparmio in tempo di crisi, non se ne parla nemmeno... Eppoi l'Italia spende molto meno per la difesa che io, cioè i grandi USA...sì l'Impero! Cosa? Non è una buona scusa che a voi F35 non servono perchè non volete dirigere il mondo... che non volete dominare nessuno... Ricordarte, c'è il terrorismo che non guarda in faccia nessuno e spara sul mucchio, senza fare distinzioni... E' un infantilismo obsoleto credere che dovete avere l'esercito adatto alla vostra politica internazionale. E' da sovversivi pensare che i vassalli possono spendere meno perchè non puntano a comandare su tutto il globo... E' una visione taccagna, da continente della terza età... che non vi porta da nessuna parte..."

Il Cabarettista con lo sguardo febbrile, liquefatto nell'estasi delle fantasmagorie multistellate, guadagna la posizione "strategica" per la storica fotoricordo, sfoggia il sorriso più artificiale del suo repertorio, e dice "Evvvaiii..!"    
Selvas
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LA CATTIVA GESTIONE DELLA GLOBALIZZAZIONE

Gli accordi commerciali come il TPP mirano solo a proteggere i profitti delle multinazionali a discapito di tutti noi

Gli accordi commerciali sono un argomento che merita attenzione, avverte Joseph Stiglitz in uno dei suoi ultimi interventi sul New York Times. In questo momento, prosegue il Premio Nobel per l'economia del 2001, ci sonoproposte commerciali che minacciano di mettere la maggior parte degli americani sul lato sbagliato della globalizzazione. Opinioni contrastanti su questi accordi attraversano il Partito Democratico, anche se non si conosce l'opinione del presidente Obama.  Nel suo discorso sullo Stato dell'Unione, infatti, Obama ha fatto un vago riferimento a "nuove partnership commerciali" che creerebbero più posti di lavoro. Uno degli accordi in questione è il Trans-Pacific Partnership, o TPP, che legherà 12 paesi lungo il Pacifico nella più grande zona di libero scambio al mondo.
I negoziati per il TPP sono iniziati nel 2010, allo scopo, secondo il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d'America, di incrementare il commercio e gli investimenti attraverso l'abbassamento delle tariffe e l'eliminazione delle altre barriere commerciali tra i paesi partecipanti. Ma i negoziati TPP hanno avuto luogo in segreto e ciò, prosegue Stiglitz, ci costringe a fare affidamento su bozze trapelate per carpire le disposizioni proposte.
In più, tali accordi sono soggetti ad un procedura di approvazione facilitata al Congresso, secondo la quale il Congresso o approva o respinge in toto l'intero accordo commerciale, senza possibilità di revisioni o modifiche.
Ne è giustamente seguita una polemica, sostiene Stiglitz. Sulla base delle informazioni trapelate - e la storia dei patti commerciali passati - è facile dedurre la forma di tutto il TPP, e non sembra essere buona  Il rischio è che tutto andrà a esclusivo beneficio della ricca scheggia della élite americana e mondiale a discapito di tutti gli altri. E il fatto che tale piano sia allo studio testimonia quanto profondamente la disuguaglianza riverberi attraverso le nostre politiche economiche.
Peggio ancora, prosegue Stiglitz, gli accordi come il TPP sono solo un aspetto di un problema più ampio: la cattiva gestione della globalizzazione.
In generale, gli accordi commerciali oggi sono molto diversi da quelli fatti nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale quando i negoziati si concentravano realmente sulla riduzione delle tariffe. Mentre le tariffe venivano ridotte, il volume dei commerci ne beneficiava e ciascun paese poteva sviluppare i settori in cui aveva i propri punti di forza, innanlzando, di conseguenza, gli standard di vita. Alcuni posti di lavoro sono stati persi, ma ne sono stati creati degli altri.
Oggi, lo scopo degli accordi commerciali è diverso. Non ci sono tariffe da abbassare e quindi i negoziati hanno ad oggetto altre barriere “non tariffarie” e le più importanti di queste - per gli interessi corporativi che spingono per questi accordi - sono le norme.
Le grandi multinazionali si lamentano che norme incoerenti rendono gli affari costosi. Ma la maggior parte dei regolamenti,  anche se imperfetti, sono lì per un motivo: per proteggere i lavoratori, i consumatori, l'economia e l'ambiente e tali regolamenti sono stati spesso messi in atto dai governi che rispondono alle esigenze democratiche dei cittadini.
I sostenitori di questi accordi commerciali insistono sull'armonizzazione normativa, una frase dal suono pulito che implica un piano per promuovere il profitto delle multinazionali.
E' particolarmente rischioso lasciare che i negoziati commerciali procedano in segreto. In tutto il mondo, i ministeri commerciali sono catturati da interessi corporativi e finanziari. E quando i negoziati sono segreti, non c'è modo che il processo democratico sia in grado di esercitare i controlli necessari per porre limiti agli effetti negativi di tali accordi .
 I negoziati condotti in segreto potrebbero essere sufficienti a causare polemiche significative per il TPP. Quello che sappiamo dei suoi particolari lo rende solo più sgradevole. Uno dei punti contestati è la facoltà di accesso al Tribunale Internazionale per mettere sotto accusa uno Stato e le sue norme, qualora una società internazionale che opera sul suo territorio reputi che il suo diritto a conseguire un legittimo profitto sia stato intaccato. Non stiamo parlando di un problema teorico, tende a precisare Stiglitz. Philip Morris ha già provato questa tattica contro l'Uruguay, sostenendo che le sue norme antifumo, che hanno ottenuto il riconoscimento da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, danneggia i profitti  violando un trattato commerciale bilaterale tra la Svizzera e l'Uruguay. In questo senso, gli accordi commerciali recenti ricordano la guerra dell'oppio, durante la quale le potenze occidentali costrinsero la Cina ad aprire i propri mercati all'oppio in ossequio al principio del libero commercio.
Disposizioni già incorporate in altri accordi commerciali vengono utilizzate altrove per minare normative ambientali e di altro tipo. I paesi in via di sviluppo pagano un prezzo elevato per la firma di queste disposizioni e l'evidenza che in cambio ottengano maggiori investimenti è scarsa e controversa .
Ci sono altre disposizioni nociveL'America ha combattuto per abbassare il costo della sanità. Ma il TPP renderebbe l'introduzione di farmaci generici più difficile, e quindi aumenterebbe il prezzo dei farmaci. Nei paesi più poveri , non si tratta solo di spostare denaro nelle casse aziendali: migliaia morirebbero inutilmente. Naturalmente, chi fa ricerca deve essere risarcito. Ecco perché abbiamo un sistema di brevetti  Ma il sistema dei brevetti dovrebbe bilanciare attentamente i benefici della protezione intellettuale con un altro obiettivo: un maggiore accesso alla conoscenza.
 Le preoccupazioni sono sempre maggiori. Un modo di leggere i documenti negoziali trapelati suggerisce che il TPP potrebbe rendere più facile per le banche americane vendere i derivati ​​a rischio in tutto il mondo; forse l’impostazione dello stesso tipo di crisi che ha portato alla Grande Recessione.
A dispetto di tutto questo, tra coloro che con passione sostengono il TPP ci sono molti economisti. Ciò che rende possibile questo supporto è la falsa teoria economica che è rimasta in circolazione, soprattutto perché serve gli interessi dei ricchi.
La teoria del “libero commercio” è un principio centrale dell'economia nei primi anni della disciplina. Anche se ci sono vincitori e vinti, non può essere un problema, perché il saldo è largamente positivo e ci sarà comunque modo di compensare i perdenti. Questa conclusione, purtroppo, si basa su numerosi presupposti , molti dei quali sono semplicemente sbagliati.
Innanzitutto queste teorie semplicemente ignorano il rischio e assumono che i lavoratori possano muoversi senza problemi tra posti di lavoro e da settori a bassa produttività a settori ad alta produttività. Ma quando c'è un alto livello di disoccupazione, e soprattutto quando una grande percentuale dei disoccupati è senza lavoro a lungo termine ( come è il caso oggi ), una simile compiacenza non ci può essere.
Oggi, ci sono 20 milioni di americani che vorrebbero un lavoro a tempo pieno, ma non riescono ad ottenere uno. Milioni di persone hanno smesso di cercare. Quindi c'è un rischio reale che gli individui a bassa produttività vada ad ingrossare le fila dei disoccupati “a zero produttività” a danno anche di coloro che conservano il lavoro dal momento che un aumento della disoccupazione esercita una pressione al ribasso sui salari .
Possiamo discutere sul perché la nostra economia non si stia comportando secondo il modello - se è a causa della mancanza di domanda aggregata, o perché le nostre banche, più interessate alla speculazione e alla manipolazione del mercato che al prestito, non stanno garantendo fondi adeguati alle piccole e medie imprese. Al di là delle ragioni, la realtà è che questi accordi commerciali rischiano di far aumentare la disoccupazione.
Una delle ragioni per cui stiamo così male è che abbiamo gestito male la globalizzazioneSono state promosse politiche economiche che incoraggiano l'outsourcing di posti di lavoro e le merci prodotte all'estero con manodopera a basso costo possono essere riportate a buon mercato negli Stati Uniti. Così i lavoratori americani capiscono che devono competere con quelli esteri, e il loro potere contrattuale ne risulta indebolito. Questo è uno dei motivi per cui il reddito reale medio dei lavoratori di sesso maschile a tempo pieno è più basso di quanto non fosse 40 anni fa.
La politica americana odierna aggrava questi problemi. Anche nella migliore delle ipotesi, la vecchia teoria del libero commercio diceva soltanto che i vincitori avrebbero potuto risarcire i perdenti, non che l’avrebbero fatto. E così è stato: non l’hanno fatto. Anzi, hanno fatto il contrario.
I sostenitori degli accordi commerciali spesso sostengono che per essere competitiva l'America deve tagliare salari, tasse e spese pubbliche, soprattutto i programmi che sono di beneficio per i cittadini. "Dobbiamo accettare il dolore a breve termine", dicono, "perché nel lungo periodo tutti ne traggano vantaggio". Ma, come ricordava John Maynard Keynes, "nel lungo periodo saremo tutti morti".
In questo caso, ci sono poche prove che gli accordi commerciali porteranno ad una crescita più veloce o maggiore.
I critici del TPP sono così numerosi perché  il processo e la teoria che lo sorreggono godono ormai di poco creditoL'opposizione non è sbocciata solo negli Stati Uniti, ma anche in Asia, e i negoziati sono in fase di stallo. Mettendosi alla guida di una protesta a tutto campo contro l’ente responsabile del Tpp, Harry Reid, leader della maggioranza del Senato, sembra averci dato una piccola tregua. Coloro che vedono accordi commerciali strumenti utili ad arricchire le multinazionali a discapito del 99% della popolazione sembrano aver vinto questo schermaglia.  Ma c'è una guerra più ampia al fine di garantire che la politica commerciale - e la globalizzazione, più in generale - sia riprogettata in modo da aumentare gli standard di vita della maggior parte degli americani. E l'esito di questa guerra rimane incerto.
Stiglitz ribadisce due punti: il primo è che l'elevato livello di disuguaglianza negli Stati Uniti di oggi  e il suo enorme aumento nel corso degli ultimi 30 anni, è il risultato cumulativo di una serie di politiche, programmi e leggi. Dato che lo stesso presidente ha sottolineato che la disuguaglianza dovrebbe essere la priorità assoluta del paese, ogni nuova politica, programma o la legge dovrebbe essere esaminata dal punto di vista del suo impatto sulla disuguaglianza. Accordi come il TPP hanno contribuito in modo importante a questa disuguaglianza. Le multinazionali potrebbero trarne beneficio, ed è addirittura possibile, per quanto non garantito, che migliori anche il prodotto interno lordo così come è misurato per prassi. È assai probabile, però, che il benessere dei normali cittadini subirà un duro colpo.
E questo porta al secondo punto: la trickle-down theory è un mito. Arricchire le multinazionali - come farebbe le TPP - non necessariamente aiuterò chi si trova a metà della piramide economica, per non parlare di chi si trova in basso.

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Il dominio delle banche centrali

Penulis : barbaranotav on sabato 29 marzo 2014 | 8:23 PM

sabato 29 marzo 2014

Negli ultimi anni le banche centrali si sono sostituite al mercato, ai governi e a tutti gli altri attori economici nel definire le strategie monetarie, finanziarie e anche economiche dei Paesi cosiddetti industrializzati. I loro bilanci sono cresciuti a dismisura tanto che la Fed attualmente ha attivi pari a 4.160 miliardi di dollari, di cui 1.570 sono mbs, i derivati su ipoteche, mentre la Bce, con le banche centrali della zona euro, ha attivi pari a circa 2.200 miliardi di euro.
 Eppure prima si credeva che il mercato avesse leggi proprie, forti, sicure e capaci di regolare  l’economia e la finanza. Anzi si sosteneva che meno fossero coinvolti gli Stati e gli enti di controllo e meglio era per il sistema. Poi venne la crisi globale. Tutti, a cominciare dalla banche, quali le “too big too fail”, corsero a piangere miseria e a chiedere aiuti presso i governi.
 Allora c’era la “magia del mercato” ed ora quindi c’è un’altra formula magica, quella della cosiddetta “forward guidance”. Dal 2008 è diventata il fulcro della politica monetaria. La Fed, la Bce, la Bank of Japan e la Bank of England forniscono, in varie forme quantitative e qualitative, appunto la loro “guida” nella politica monetaria, dei tassi di interesse e di fatto determinano l’intera politica economica..
 Questa nuova situazione è oggetto di dibattito, di perplessità e di riflessione. Recentemente anche la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea ha messo in guardia che la politica della “foward guidance” potrebbe generare ripercussioni negative e veri e propri choc nei mercati e nelle economie internazionali. Gli economisti della Bri sostengono che nel breve periodo le banche centrali sembrano dare più certezze politiche e meno volatilità nei comportanti monetari. I possibili cambiamenti e finanche le loro percezioni, nella politica monetaria, basata sul tasso di interesse zero, potrebbero però mettere a rischio la stabilità finanziaria e colpire la reputazione e la credibilità delle stesse banche centrali.
 Infatti, quando esse comunicano che i tassi di interesse rimarranno fermi per un certo lasso di tempo o fino al persistere di certe condizioni economiche, gli operatori finanziari si sentono sicuri e perciò investono, muovono capitali e purtroppo speculano con più tranquillità. Ma non è detto che ciò accada sempre, che le banche centrali siano fisse nei loro impegni, che comunichino chiaramente le loro decisioni e che i mercati interpretino correttamente i loro “segnali di fumo”.
 Già nel maggio 2013 le poche parole dette dall’allora governatore della Fed, Ben Bernanke, su una possibile riduzione del quantitativo di nuova liquidità, mandarono in tilt il sistema. Da quel momento nei Paesi emergenti si verificano fughe di capitali, disinvestimenti dai bond, crolli di borsa e massicce svalutazioni valutarie. Bernanke, nel tentativo di tranquillizzare i mercati, lamentò di essere stato frainteso.
 Se il semplice fraintendimento di una frase può determinare nuove crisi sistemiche, allora il mondo è veramente messo male.
 I mercati quindi, secondo noi, più che concentrarsi sulle dichiarazioni dei governatori centrali, diventati i novelli dei dell’Olimpo finanziario ed economico, analizzino con maggiore obiettività gli andamenti e i parametri dell’economia reale.
 Anche per gli economisti della Bri, se i mercati si basano esclusivamente sulla “forward guidance”, un qualsiasi cambiamento significativo nella “guida” potrebbe portare a delle “reazioni distruttive dei mercati”. Per altro verso, il timore di forti reazioni da parte dei mercati potrebbe bloccare le banche centrali dall’adozione di politiche monetarie richieste da nuove situazioni e nuovi andamenti. Da ultimo, non si può ignorare che la politica del tasso di interesse zero, prolungata nel tempo, incoraggi operazioni finanziarie in cerca di profitti più alti anche se con alto rischio, generando nuovi squilibri e vulnerabilità.
 Tutto ciò preoccupa e spinge gli organismi internazionali più responsabili come la Bri a riconoscere che non si può continuare indefinitamente con le politiche monetarie accomodanti e non convenzionali. A nostro avviso occorre innanzitutto riportare la politica finanziaria e monetaria al suo ruolo naturale di ancella dell’economia reale. 
di Mario Lettieri - Paolo Raimondi - 29/03/2014

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Putin può abbattere costi del South Stream

Con l’annessione della Crimea Putin abbatte i costi del gasdotto South Stream
giovedì, marzo 27, 2014


di Francesco Filini

Esiste una guerra energetica di cui i media si guardano bene dal parlare, USA e Russia si contendono la leadership di venditori di risorse energetiche all’Europa, divenuta nel corso degli anni una grande colonia per la pressoché totale dipendenza energetica, come spiega bene il Prof Auriti nel suo saggio fondamentale Il Paese dell’Utopia. Il grande problema della moneta unica è quello di operare in un mercato disorganico, dove l’approvvigionamento di petrolio passa esclusivamente attraverso il dollaro. Gli USA, i vincitori della II guerra mondiale, hanno imposto il dollaro come moneta di riserva mondialee come unica divisa per l’acquisto di petrolio, il cosiddetto petroldollaro. I paesi esportatori di petrolio aderenti all’OPEC (Iran, Irak, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Nigeria, Libia, Quatar, Kuwait, Venezuela etc..) sono obbligati a vendere barili di oro nero solo ed esclusivamente in dollari. Il dominio energetico a stelle e strisce si basa soprattutto su questo “signoraggio petrolifero“, essendo diventato l’oro nero il materiale di riserva della moneta emessa dalla Federal Reserve da quando l’oro ha cessato di esserlo nel 1971.

Vien da sé che l’intera economia americana si basa principalmente sull’esportazione e sul controllo del commercio del petrolio. Senza questo primato, senza questo domino, Washington (che fa segnare già da tempo il segno negativo sui bilanci) rischia di veder svalutata la sua moneta, con la quale ha, da oltre mezzo secolo a questa parte, inondato i mercati mondiali. Per tenere in piedi il dollaro e per evitare che questo diventi carta straccia, gli USA sono costretti a politiche espansionistiche ed imperialiste. Questa chiave di lettura è sufficiente a spiegare decenni di aggressioni in medioriente, ben mascherati dal ruolo di “salvatori del mondo” con la complicità di certa propaganda Hollywoodiana.

Questa nuova stagione di politiche espansioniste targate USA può essere facilmente spiegata dai nuovi accordi commerciali tra paesi come Cina, Giappone e Iran che scambiano petrolio in yuan o in oro (oil for gold). A cui si aggiunge la minaccia del ministro degli esteri russo (poi smentita da una nota poco convincente del Cremlino) di abbandonare il dollaro come moneta di riserva per il commercio di petrolio e commerciare greggio in cambio di beni con l’odiato Iran.


La Russia di Putin è il maggior fornitore di gas europeo, Italia e Germania – ad esempio – dipendono dal gas russo per ben il 30%. L’Ucraina è da sempre il ponte per i gasdotti della Gazprom (società pubblica della Federazione Russa) verso il Vecchio Continente, quindi un paese geopoliticamente strategico. Gli USA sanno bene che chi controlla l’Ucraina controlla il gas degli ex sovietici verso l’Europa. Ecco come si spiega l’appoggio degli agenti segreti “occidentali” ai ribelli neo-nazisti di Maidan (forse poco consapevoli di essere strumento delle politiche atlantiste).

Da qualche anno la Gazprom lavora alla costruzione di due grandi gasdotti alternativi, che possano fare a meno del passaggio di servitù ucraino: il North Stream e il South Stream (linee tratteggiate in rosso nella foto).

Con il plebiscito di Crimea il costosissimo progetto del South Stream (che passa per le profondità del Mar Nero) può essere modificato, facendo risparmiare parecchi rubli a Putin. Basta vedere la conformazione geofisica del fondale del Mar Nero per rendersi conto di come il passaggio del gasdotto in Crimea semplifichi enormemente la vita agli ingegneri della Gazprom (http://kungurov.livejournal.com/80884.html).


Il tracciato del gasdotto è modificato con il passaggio in terra Crimea, così come evidenziato dalla linea tratteggiata di colore blu)


Notare la differenza di profondità nel tratto della Crimea con quella del mare aperto

Ancora una volta Putin ha gabbato, con un colpo da vero maestro, il pupazzo della Fed Obama.

Alla luce di queste considerazioni è lecito porre la seguente domanda: chi ha un dannato e urgente bisogno di scatenare una guerra?

twitter @francescofilini

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